Per iniziare il nostro viaggio di scoperta di vecchie ricette e tradizioni ormai perdute, siamo andate nel cuore dell'Italia, in Abruzzo, dove nonna Ginetta, fondatrice della trattoria Villa Maiella a Guardiagrele, ci ha svelato uno dei primi piatti che preparava in trattoria, per i camionisti che trasportavano il grano all’adiacente mulino. Questa ricetta, povera, ma ricchissimo di sapore, quel sapore avvolgente, di casa, di focolare, ci è stata non solo raccontata, ma anche preparata. E noi che l'abbiamo potuta assaggiare come i tanti avventori della storica osteria 40 anni fa, come loro siamo rimasti estasiati e torneremmo subito tra le braccia accoglienti di nonna Ginetta e del suo sorriso materno. Siete pronti per sapere di cosa parlo? Eccovi svelata la prima cartolina d’Italia: le corde de chiochie al ragù del povero. Villa Maiella è un luogo straordinario, dove la passione e l’amore per il buon cibo è stata tramandata da Ginetta prima al figlio Peppino e sua moglie Angela, ed ora anche ai due nipoti Arcangelo e Pascal, rispettivamente chef e sommelier di quello che è oggi il ristorante stellato Villa Maiella. In questo ristorante si vive una esperienza piena e appagante, dove la cucina ancora ben salda nei sapori della tradizione si è evoluta in chiave contemporanea, con maggiore leggerezza ed un perfetto bilanciamento nei sapori, il tutto accompagnato da un’incredibile selezione di vini territoriali tutti da scoprire. La famiglia Tinari, oltre al ristorante ed hotel, recentemente produce buona parte delle carni e degli insaccati, che serve al ristorante, all’interno di una piccola fattoria dove allevano maiali neri d’Abruzzo. Potete solo immaginare la bontà della selezione dei salumi che trovate in carte – ma questa è un’altra storia. L’amore per questo luogo e la voglia di condividere e trasmettere l’incredibile patrimonio culinario di questa terra, si respira nello sguardo di Peppino, nella solarità di Angela, nell’entusiasmo dei due giovani Arcangelo e Pascal, ed ancora negli occhi sorridenti della nonna Ginetta, che, dopo un primo momento di imbarazzo, era raggiante al pensiero di condividere con noi una ricetta di quando era ancora saldamente al comando della sua cucina nell’antica Trattoria di Villa Maiella. Torniamo quindi alla ricetta recuperata con questa prima cartolina in terra d’Abruzzo, le corde de chiochie al ragu del povero. Anzitutto le corde de chiochie cosa sono? Sono una variante di dei più famosi spaghetti alla chitarra, in versione più grossa. Le chiochie, mi ha raccontato Angela (nuora di Ginetta) erano delle particolari calzature dei pastori e del ceto sociale meno abbiente del chietino. Queste chiochie erano legate con lunghi lacci di cuoio molto robusti, da qui deriva il nome per la similarità con la forma di questa pasta. Poi c’è questo fantomatico ragù del povero. Povero perché è un ragù senza carne, ma sicuramente non povero di sapore, anzi saporitissimo, per la gioia non solo nostra, ma di tutti i vegetariani del mondo. Infatti si prepara con le uova, che vengono “trattate come un arrosto”. Le uova, priva vengono bollite, poi tagliate a metà ed insaporite con pecorino, prezzemolo tritato (ma si possono usare anche altre erbe aromatiche), aglio, sale, pepe e legate con lo spago. Vengono poi soffritte nell’olio fino a ottenere una crosticina sottile e dorata all’esterno, dopo di che si aggiunge il sugo di pomodoro e si lascia andare il sugo fino a cottura. Una volta pronto, un paio di uova vengono schiacciate con la forchetta, per rendere in sugo ancora più cremoso e corposo. E la cosa incredibile è che il sugo sa proprio di arrosto, è uno di quei piatti confortanti, che non ti stanchi mai di mangiare, dove gli spaghetti alla chitarra con la loro rugosità imprigionano la salsa ed è un matrimonio meraviglioso. Ora la nerd che è in me, reclama la sua voce ed ci sono un paio di cose molto interessanti sulla pasta che voglio condividere con voi. Per fare gli spaghetti alla chitarra come si deve, dovete impastare sempre nella stessa direzione, ovvero creare una pagnotta lunga, poi ripiegare le estremità verso il centro e ricominciare a impastare. In questo modo, una volta tirata la sfoglia, questa ha un verso lungo il quale il taglio viene bello pulito, come quando, mi ha rivelato Angela, si strappa un foglio di giornale, in un senso lo strappo è liscio, nell’altro è zigzagato. L’altra cosa, sicuramente non tecnica, è che qui tutta la pasta è chiamata maccarune, e per questo dettame della lingua anche gli spaghetti diventano maccarune ma cun l’ove, per le uova nell’impasto. Un po’ come in Romagna dove tutta la pasta è amnestra-minestra, anche se poi non va a finire nel brodo ;) Chiudo questa prima cartolina, dicendovi che sí, le genti d’Abruzzo e la loro terra ci hanno rapite, per la loro bellezza, genuinità e accoglienza. Le parole di Primo Levi “Abruzzo forte e gentile” non potrebbero essere più calzanti e la famiglia Tinari ne è un perfetto esempio. Grazie Villa Maiella e grazie Abruzzo, per essere un meraviglioso luogo d’Italia tutto da scoprire (by Candi)
0 Comments
Your comment will be posted after it is approved.
Leave a Reply. |
AuthorsCANDI - passionate cook, curious about new tastes and flavours, she loves experimenting. Archives
June 2021
Categories
All
IN COLLABORATION WITH
|