I miei primi ricordi della pita vanno alla prima volta che ho visitato Mostar, la città natale di Sanja. Ricordo che mi portò in una anonima panetteria, assolutamente mimetizzata all’interno di un quartiere residenziale di condomini anni 80, che serviva delle favolose pite e altri prodotti da forno deliziosi. Era una calda mattina d’estate, entrammo, ordinammo due pite, una agli spinaci e l’altra con carne macinata e cipolla, due belle bottiglie di yogurt (quello che in Italia è andato per tutti gli anni 80-90 e lo chiamavano yogurt da bere) e via a casa per una colazione da campioni. Per noi ex giovani abituati a caffellatte e biscotti è tutto un’altra storia, ma a me è piaciuta tantissimo. A quel punto io l’avrei mangiata a colazione pranzo e cena! Sanja mi raccontò di come la faceva sua nonna paterna. Aveva visto prepararla da bambina, la nonna tirava una sfoglia di pasta fillo più grande della tavola, facendo roteare, con la punta del mattarello sottile, la sfoglia in aria, allargandola più e più, fino a che la pasta era così sottile da vederci attraverso. Poi la farciva in vari modi, arrotolandola a formare una grande chiocciola pronta per il forno. Ora immaginate di cosa poso essere andata alla ricerca una volta arrivate a Sarajevo: il mio pensiero era fisso sulla pita, e quindi abbiamo chiesto a chiunque potesse insegnarcela. Ed il destino ci ha fatto incontrare Mida, che ci ha invitato a casa la domenica di Pasqua con la promessa che mi avrebbe fatto vedere come fare. E così e stato. Aveva preparato almeno otto palline di impasto bianco e morbido, pronto per essere tirato. Mi ha mostrato quell’arte che aveva lei stessa perfezionato durante gli anni della guerra in Jugoslavia: altre donne più esperte le avevano insegnato come farla più velocemente e come farcirla anche nei giorni dove non c’era quasi nulla da mangiare. Improvvisando, che tanto la pita è sempre buona, anche senza niente, un po’ come la pasta. E mentre io imparavo, lei ci ha parlato di quegli anni, ormai 25 anni orsono, in cui Sarajevo era sotto assedio, della paura e della speranza che mai l’hanno abbandonata, perché quando hai due figli piccoli non puoi farne a meno, perché la vita deve continuare e si va al lavoro anche sotto gli spari dei cecchini. E adesso com’è la vita? Beh non certo meglio, anche se sono passati tanti anni, l’odio e la divisione etnica segrega il paese nelle tre fazioni, una per ogni presidente della Repubblica della Bosnia-Erzegovina (non è asurdo?!?). Ma lei è sorridente, solare e non ha perso la positività, la voglia di stare insieme, di condividere sapienza ed esperienze. Io, beh, ho imparato a fare la pita, ma ho imparato anche tanto altro. (by Candi)
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AuthorsCANDI - passionate cook, curious about new tastes and flavours, she loves experimenting. Archives
June 2021
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